Leggendo Atti 18,1-3

Le cadde un vaso, Aquila trasalì nel silenzio di quell’ora meridiana quando il caldo toglieva il respiro e solo qualche rara folata di grecale riusciva a dar sollievo, quasi per lasciare ancora alle forze umane la possibilità di resistere autonomamente all’afa. Si girò lentamente: lei non apprezzava che lui la guardasse con troppa insistenza, preferiva piuttosto normalizzare subito le cose che accadevano, inglobarle in un flusso di ordinarietà perché non sembrassero né poco né troppo importanti, l’enfasi non le si addiceva… Così di sottecchi potè guardarla, Priscilla, mentre si piegava a raccogliere i cocci del suo vaso, con quella sicurezza di chi è padrona dei suoi gesti, di chi sa fare esattamente la cosa che sta facendo come se fosse l’unica in quel momento. Come sempre, quando l’osservava, si stupì di percepire quel silenzio unico che la circondava come una sorta di nuvola all’interno della quale lei si muoveva naturalmente come se quella dimensione fosse per lei la sola possibilità di comunicare realmente. Quella del silenzio era infatti la prima cosa che l’aveva colpito in lei quando vent’anni prima l’aveva conosciuta vicina a suo padre sulla pubblica piazza e in cuor suo aveva deciso subito che quella ragazza, avvolta come da una sorta di protezione senza parole, sarebbe divenuta sua moglie, se ella lo avesse voluto.
Non sapeva spiegarsi quel suo modo di dire pochissime cose ma luminose, come in mezzo alla penombra di un silenzio dove gli altri, che le stavano vicino, potevano sedersi a riposare nella radura di un bosco dove ogni tanto filtravano raggi di sole a scaldare un po’ le membra ormai a tratti infreddolite… Sì, le parole di Priscilla scaldavano il cuore perché erano giuste, sia come numero sia come peso.
E poi i gesti di sua moglie: più erano semplici, più erano espressivi… Questa cosa ancora, a distanza di vent’anni, lo faceva impazzire di gioia come un ragazzo preso dal suo primo incandescente amore. Così, giratosi nuovamente, nella stessa posizione che aveva prima della rottura del vaso, provò a fare il solito esercizio che gli piaceva tanto: immaginare i suoi passi e le sue azioni pur senza vederla.
Ecco ora scenderà di sotto per vedere se le due serve hanno riassettato bene in cucina, toglierà distrattamente alcune foglie secche dalla pianta di limone nell’atrio centrale, ascolterà con attenzione le voci dei nostri bambini che giocano e, anche senza capire l’oggetto dei loro discorsi, dal semplice tono della loro voce capirà se il loro gioco è sereno e soprattutto se stanno imparando la bellezza di non escludere nessun compagno dal gioco… questo Priscilla cerca di insegnarglielo sempre! Poi aspetterà Paolo per scendere con lui ai telai, e continuare il lavoro lasciato al termine di questa mattina…
Paolo, ci ripensava nel suo dormiveglia, che dono era stato per la loro famiglia incontrarlo! Da qualche mese abitava nella loro casa a Corinto, e il loro incontro aveva un po’ alleggerito il dolore di aver abbandonato Roma dopo che l’ordine dell’imperatore aveva causato l’espulsione di tutti i giudei, tra cui anche quelli cristiani come loro. Il fatto di essere dello stesso mestiere li aveva accomunati subito: anche Paolo infatti era un fabbricante di tende, un lavoro che personalmente a lui, Aquila, piaceva tanto: si chiedeva se per Paolo fosse lo stesso, non ne era sicuro. Lui invece appena il padre lo aveva portato in sinagoga per ascoltare le scritture, era stato subito colpito dal fatto che le tende, pur oggetti umili e senza voce, fossero così importanti nella storia della salvezza di Israele… Per quarant’anni nel deserto era stata tutta una storia fatta di montare alla sera e smontare al mattino per ripartire subito dopo… Del padre Abramo, che per fede si mosse dalla sua terra, si legge spesso un “e poi smontò la tenda”, come accenno quasi distratto, proprio dopo i momenti più cruciali della sua esperienza con Dio e con l’uomo… Infine il Signore, il Maestro, Gesù, che gli aveva cambiato la vita e il cui battesimo aveva ricevuto in un bagno di fede nuova, era uno che semplicemente diceva di sé di non avere dove poggiare il capo, mentre le volpi avevano le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi… Anche Lui si spostava, forse avendo una sorta di tenda dentro di sé, il suo stesso corpo, fitto velame di un Mistero più grande… Come gli piaceva parlare di questi argomenti con Paolo, di questa vita nuova in Cristo che insieme volevano annunciare: alle loro conversazioni Priscilla non partecipava, ma era presente sempre sullo sfondo. E intanto incessantemente tesseva le tele necessarie al loro lavoro, e soprattutto le piegava: ecco, quello del piegare era il gesto che, per eccellenza, trovava più intenso in lei. C’era una meticolosità nel suo stendere e accarezzare quei ruvidi tessuti, adatti a proteggere dalla pioggia e dalla calura, trame che paradossalmente dovevano sostituire un tetto. E lei ci metteva una cura e una delicatezza che, di primo acchito, lo irritavano spesso: era eccessiva, perché si concentrava tanto su stendere ogni piega e rimediare a ogni imperfezione di ordito? Non sarebbe stato tessuto da usare per un abito sontuoso, ma nemmeno per il lavoro di uno schiavo… Era stoffa alla stregua di paglia, frasca, tegola… Eppure Priscilla voleva che le sue tende fossero pronte ad ogni trasferimento e sempre uguali e resistenti ad ogni smontaggio e rimontaggio, per questo le ispezionava così a fondo. Era come se immaginasse quali teste avrebbero coperto, quali conversazioni protetto, quale transitorietà consolato, a quanto conforto mancante supplito. Così lei, mentre una particolare ruga che le solcava imperiosamente la fronte per l’impegno, si abituava e disciplinava il suo cuore ai tanti trasferimenti, ai suoi come a quelli di altri che amava e da cui si sarebbe dovuta separare. Lasciare Roma l’aveva straziata, ora a Corinto si trovava bene, ma già Paolo chiedeva loro di ripartire per Efeso insieme a lui per creare anche lì una piccola chiesa domestica dove approfondire le Scritture e conoscere sempre meglio il Signore… Già si narrava di come Efeso fosse una città difficile, tutta dedita al culto della grande dea Diana… “colei che tutta l’Asia e tutto il mondo adora”, così si diceva di lei… Priscilla immaginava, Aquila lo capiva, i pericoli che avrebbero corso, loro e tutta la loro famiglia che si spostava al seguito. Ma la vedeva, con la stessa incrollabile caparbietà preparare i loro bagagli, e le sue tende ben piegate da vendere anche lì e intanto annunciare il Vangelo, far posto a tanti nella loro casa, disporre minuziosamente, anche in nuovo luogo straniero, ogni particolare per garantire un’accoglienza che fosse già annuncio e soprattutto far sentire a chi incontrava che la loro famiglia era quel calore, quell’affetto che emergeva chiaro. Tutto ciò era già Chiesa di cui sarebbe stato bello fare parte… Solo così poi, suggerire testimoniandolo, come trovare il modo di spostare una tenda per Cristo, quel Signore di tutte le notti e di tutti i giorni… Le notti stellate passate sotto le stelle, accessibili proprio grazie alla libertà di una tenda e i giorni in cui lo scambio con gli altri, vicini e lontani, diventava immediato per l’assenza di pareti…
Priscilla aveva dovuto imparare, e forse solo ora Aquila lo capiva, ancora steso sulla sua terrazza, una tra le cose più difficili che una donna possa accettare: vivere senza intimità apparente, senza mura di protezione che garantiscano pudore immediato, senza certezze di un desco solido che dica ai figli che sono a casa… Priscilla aveva dovuto trasformare il suo corpo di donna e di madre in un baluardo di mura e pareti a cui lasciar appoggiare, in ogni momento, coloro che amava.
Il suo femminile silenzio, come uomo, solo ora lo capiva: senza parole spiegate era divenuta una casa, di stoffa robusta, che Lui può spostare…