(ispirato a “Piccolo Abi” in “Morte di Adamo” di Elena Bono)

Sarina era la mia amica, la mia unica amica.
Aveva sposato Abi, il vecchio Abimelech, che era ancora una bambina ma tra loro la differenza d’età da dietro non si vedeva molto, perché Abi era piccolo di statura e quando le trotterellava accanto sembravano due compagni di giochi piuttosto che due sposi.
Sapevo, l’ho sempre saputo, che Abi l’adorava e non era difficile voler bene alla mia piccola Sarina, anche quando la mano dell’Altissimo si abbattè così duramente su di lei e sui suoi bambini… Troppi piccoli erano scappati fuori dalla sua vita, come inseguendo una palla che li avesse condotti per sbaglio fuori del terreno di gioco… Sara sapeva di possedere da sola il senno, perché Abi già da tempo lo aveva perduto mentre aspettava il ritorno del suo signore, quel signore che aveva cresciuto da bambino, che aveva guardato a distanza perché non si facesse male, per il quale aveva raccolto l’uva più dolce della vigna, quella maturata ad est che non permetteva a nessuno di toccare… Poi quando il signore era cresciuto, e continuamente organizzava feste per ogni tipo di amico che incontrava, non c’era volta che il piccolo Abi non inventasse delicatezze e novità per allietare il soggiorno e arricchire la tavola degli amici del suo Signore. Abi sembrava vivere di queste gioie, le sue uniche gioie… viveva nella luce riflessa del suo signore, che gli bastava per ridargli ogni statura.
Il giorno in cui il signore partì vidi Abi stargli accanto, toccargli piano le mani come per trattenerlo… ma lui sembrava inseguire il suo Sogno e nessuno riuscì a fermarlo: chi eravamo in fondo noi servi di casa per trattenere il padrone? Quando giunse notizia del naufragio e della morte certa del giovane signore, solo Abi fu l’unico che si rifiutò di crederlo e a nulla valse la dolcezza di Sara, le sue premure per mitigargli la pena. Abi impazzì, continuò ad apparecchiare ogni Pasqua il cenacolo per il ritorno del suo signore… a lustrare stoviglie preziose, a lucidare lampade e candelabri… a spazzolare cuscini e tappeti.
La polvere non si doveva posare anni e anni sopra il suo scenario d’attesa, perché il signore doveva tornare: Abi lo sapeva…
Purtroppo, non solo i suoi piccoli meravigliosi bambini “partirono” uno dopo l’altro, ma la stessa Sarina lo lasciò dando alla luce l’ultimo che non ebbe una sorte diversa…
Io vivevo tra le altre donne, serve di casa, con una pena nel cuore che mi straziava la carne, ma non volevo che le altre lo capissero… mi stupiva come si accanissero a prendere in giro il povero Abi, sempre più solo e pazzo e come non insegnassero ai loro bambini a non tirare sassi a quell’unico vecchio rimasto, mentre ogni altra presenza maschile era sfuggita da quella casa fantasma che interessava ormai solo al Santo Sinedrio, che l’avrebbe ottenuta per stanchezza dopo lunghe pratiche di eredità…
Fu così che quel giorno rimasi molto stupida vedendo arrivare quel giovane così bello, Giovanni si chiamava, dall’aria ardente e da un candore che traspariva da ogni suo gesto…
Abi pareva divenuto un altro, si erano scambiate poche parole sul cancello e io avevo intuito in lontananza che c’entrava con il ritorno del suo signore, ma quale signore? Ero certa che il nostro signore era proprio morto in mare e non sarebbe tornato… “Quale signore” furono parole che sentii dire anche al secondo uomo che arrivò, quello molto diverso, più maturo e grossolano, sembrava volesse sempre litigare con quello giovane dal viso d’angelo. Senza volere gli sentii dire bruscamente: “non possiamo portare qui il Signore perché mangi la Pasqua, qui si aspetta un altro signore… Cosa accadrà se il vecchio lo capirà?”
Non mi riuscì di capire le parole del giovane, i bambini strillavano troppo mentre giocavano, ma lo vidi sorridere, accalorarsi con le guance accese, gesticolare tracciando come un cerchio immaginario e additando come posti in un semicerchio a ferro di cavallo… ed indicare più volte il cielo come se volesse con delicatezza trascinarlo a terra. Per la prima volta vidi che il volto del più anziano, quello sicuro di sé, si rabbuiava, si rasserenava, si commuoveva con vergogna mentre lo ascoltava rapito… in ogni caso capivo che non sapevano cosa fare, evidentemente anche loro avevano un Signore che li aveva mandati in avanscoperta per cercare un posto dove mangiare la loro Pasqua…
Dovevano amarlo molto quel Signore, soprattutto quello giovane perché sembrava perorare la causa e voler restare oltre ogni limite… Così le ore di quell’interminabile pomeriggio passavano, tra l’indecisione dei due e l’agitazione di Abi che continuava i preparativi per la cena… Ma quale cena? Io sapevo che Abi era così povero che l’unico cibo che ogni tanto aveva era qualche povera ricotta, non prevista dal rito della Pasqua… Fu così che quando lo vidi arrivare col suo adorato agnellino sulle spalle, con gli occhi rossi e il passo incespicante, mi sentì mancare… Conoscevo bene l’amore che Abi aveva per quella creatura dolcissima e inerme, la sua sola compagnia, la sua sola dolcezza a cui raccontava ogni pena e ogni strazio d’attesa… lo difendeva dai dispetti dei bambini e solo lui lo accarezzava e lo nutriva…
Per il ritorno del suo signore aveva deciso di sacrificarlo, unica cena degna che potesse offrirgli.
Ci veniva incontro, chiedeva a noi donne che lo portassimo giù al macello del Santo Sinedrio e glielo riportassimo pronto perché lo preparasse. Mi feci avanti io, col suo stesso passo tremante, e camminavo come un automa: per la prima volta facevo un gesto che gli dimostrava tutto il mio affetto, a lui, il marito folle della mia Sara. Gli dissi a fior di labbra: “dallo a me, Abi,lo terrò con cura, gli starò vicina quando accadrà… “ Lui me lo porse e smise di guardarlo, solo allungò una mano e gliela pose sul capo…
Glielo riportai due ore dopo, tutto pronto dicendo che mancava solo il mirto per cuocerlo secondo il rito…
Corse quell’uomo giovane a procurarselo, e sentì Abi dire all’altro: “Com’è bello, somiglia al mio signore”…
Infine, con una trepidazione che non sapevo spiegarmi, anche se aspettavo fuori da quella cucina, in un’altra parte di quella grande casa, più verso notte sentì le voci lungo il sentiero e vidi un gruppo d’uomini nuovi scendere piano dentro al cancello. I due uomini andarono incontro al gruppo e ad un Uomo al centro vestito di bianco che attraversò deciso il nostro cortile: di fronte a casa Abi in ginocchio, che balbettava poche parole: “Signore sei tornato…” e piangeva piano.
Lo vidi bene mentre gli diceva “non andar più via…” e gli prendeva la mano. Ma quel Signore ritirò con dolcezza la Sua mano e gliela pose sul capo. Rimasi scossa: due ore prima lo stesso Abi aveva fatto un gesto uguale col suo Agnellino…