(Particolare da Caravaggio, “Riposo durante la fuga in Egitto”)

Mi imbatto casualmente in un’immagine di Maria col Bambino in braccio, dal titolo “Madre della tenerezza”, Caravaggio… Chi ha scelto e nominato questa rappresentazione di Maria ha fatto un’operazione un po’ ardita… Caravaggio non ha mai ritratto una sua Madre della Tenerezza “autonoma”, ma solo inserita come parte di una più ampia rappresentazione, nella sua grande tela del “Riposo durante la fuga in Egitto” del 1595-1596, custodita alla Galleria Doria Pamphili di Roma.
Ma nel particolare che ho sotto agli occhi, privo del contesto più ampio dell’intera opera, appare una scena molto particolare e a tratti “inquietante”: Maria abbraccia il bambino con infinita dolcezza, reclinando il capo su di lui, creando quasi una nicchia fatta dalla linea della sua guancia posta orizzontalmente e del suo collo verticale: lì una piccola culla per il capo di questo bimbo paffutello e addormentato. Una mano lo sorregge saldamente, l’altra viene abbandonata in grembo.
E’ una madre tutta contatto col Figlio!
Gli occhi di entrambi sono chiusi, quasi a suggerire che la tenerezza qui non si nutre di vista, di sguardo ma piuttosto di tatto, di odorato, di udito… I sensi “secondari” escludono il senso “primario” della vista per rendere la fisicità somma di un contatto di carni dove la culla in cui il bimbo riposa è un anfratto di corpo pulsante… e pulsante risulta qui la luce: una luce serica, proveniente da sinistra, che illumina le carni intatte e verginali della Madre e divinamente innocenti del Figlio… Ma la seta dorata è soprattutto quella delle vesti e dei capelli: di seta il panneggio che costituisce lo scialle della madre che si incorpora nella sua capigliatura, tinta che sembra ripresa dalla finezza cromatica e di tratti dei teneri capelli del bimbo che si fondono con il Suo incarnato roseo: una natura solo da accarezzare e per far questo la madre sembra non utilizzare le mani… ma solo il suo viso-culla…
Cosa copra però la spalla destra della Vergine, come una tenda pesante che adombra? Un’ala, nera!
Non è comune nell’iconografia mariana trovare angeli con ali nere… Le piume- penne sono sempre di un colore che va dal bianco, al rosato, a tutte le tonalità pastello… Qui inquieta abbastanza trovare queste remiganti di notevole peso, quali direttrici verticali che sembrano spingere la scena in basso… Potremmo farci tante domande: perché la “tenerezza” si copre di pesantezza scura? E’ l’ala di un angelo o di un’aquila, (ritorna il salmo 90 “E ti rialzerà, ti solleverà su ali d’aquila…”) oppure è adombrato il simbolo dell’Evangelista Giovanni, l’Aquila… il cantore di un Cristo che ci chiamerà teneramente “amici”…?
Se restituiamo a questa figura il suo sfondo, il suo contesto abbiamo forse la risposta: un angelo musico, al centro della scena, con lunghe ali nere divide un vecchio Giuseppe seduto in luogo arido reggendo uno spartito, dalla Madre e dal Figlio che riposano al suono di quello che l’angelo sta suonando, secondo alcuni critici, un mottetto dal titolo “Quam pulchra es” basato sul testo del Cantico dei Cantici. La partitura non riporta i versi del Cantico (salvo una Q e una L dell’incipit Quam pulchra ), ma solo le note e il tema celebra l’amore mistico di Cristo per la Chiesa..
Ritornando quindi all’idea di tenerezza, Caravaggio qui sembra voler ritrarre solo un riposo della Madre durante il faticoso viaggio in Egitto, con questo momento di sosta allietato dall’angelo che suona quasi una mistica ninna nanna al Bambino… e perché dunque inconsapevolmente egli scivola nell’iconografia della Madre della Tenerezza? La ritrova probabilmente in filigrana nel fondo acquisito del suo sapere iconografico: in questa immagine, molto vicina a quella della Madre del Buon Consiglio, la Madre stringe di più l’abbraccio al Bambino, si accostano e si compenetrano i volti, cade il senso catechetico dell’Odighitria che solleva sempre la mano ad indicare che il Figlio è “Via, Verità e Vita” e rimane solo fusione di corpo silenti… Forse è davvero il silenzio fatto di musica che, in un tema di riposo, richiama alla sensibilità di Caravaggio questo modo di ritrarre la Madre tutto corpo, carezze, silenzio, postura rilassata e grembo sempre presente… Ma il realismo dissacratore di Caravaggio non può tacere neanche in questa scena: la cronaca del tempo riporta come anche per questa tela avesse scelto come modella l’amica cortigiana del tempo, Fillide, modella anche per la Maddalena penitente (con stessa testa ripiegata come questa Madre)… La tenerezza si “contamina” di storia di carne, per alcuni committenti così scandalosa anche se si ritrae un “corpo” redento come quello della Maddalena. La tenerezza si “contamina” di ali di angelo che sembrano ali d’uccello, un uccello “difficile” come un rapace, l’aquila…
La tenerezza ancora si tinge di contrapposizione e di realismo, si offre inerme nella consegna ad un pericolo per la tenerezza implume di quel bimbo indifeso abbandonato nelle braccia di una madre che non può proteggerlo con la forza fisica.
E infine la tenerezza di Caravaggio “dorme”, lascia spazio all’abbandono, esclude il mentale: ritorna forse il passo evangelico del seme che germoglia sempre aldilà della volontà umana, “dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce”(MC 4,26). La tenerezza ha a molto a che fare col seme che cresce sicuro, è alveo, terra pronta, letto di madre, musico accolto per nozze mistiche…
E’ ingresso privilegiato, Michelangelo da Merisi detto il Caravaggio la cita forse inconsapevolmente: si riposa nel letto della Tenerezza, a occhi chiusi, perchéla fuga da ogni Egitto personale ha speranza solo se vive di abbandono.
E la tenerezza è abbandono, anche coperto da nere ali di angelo, che spesso non capiamo! Ali che suonano la loro musica…