Giaceva. I servi avevano legato
le sue braccia infantili sul corpo del vegliardo:
giaceva su di lui lunghe, dolci ore,
un po’ paurosa della sua vecchiaia.

E a tratti se strideva una civetta,
nella sua barba ella celava il viso,
e intorno a lei tutto ciò che era notte,
desiderio e paura, si addensava.

Tremavano simili a lei le stelle,
s’aggirava un profumo per la camera,
lo sbatter della tenda dava un segno
e tacito il suo sguardo lo seguiva.

ma si teneva stretta al vecchio oscuro
e, non raggiunta dalla notte delle notti,
giaceva su quel corpo regale che gelava,
vergine e leggera come un’anima…

(di quest’ultima quartina ho trovato un’altra traduzione in cui forse mi ritrovo di più:
Ma, rimanendo al fosco Veglio avvinta
– e dalla Notte delle notti, immune -
su quel regale raggelarsi, inerte,
stesa giacea. Virginalmente lieve:
spirito senza corpo, anima esangue.)

Rainer Maria Rilke


Giaceva. I servi avevano legato
le sue braccia infantili sul corpo del vegliardo:
giaceva su di lui lunghe, dolci ore,
un po’ paurosa della sua vecchiaia.

Ci sono ore che mi legano al passato, come servi che mi tengano le braccia e forzatamente mi leghino alla spiacevolezza di un corpo passato, un corpo che porta scritto il peso di tradimenti e troppi strapazzi. D’altronde questa bambina è stata chiamata per svolgere un arduo compito, scaldare il corpo del vecchio re, scaldarlo, non sedurlo, trasmettergli il calore di giovinezza che un corpo di vecchio non può più generare. E’ come se un passato pesante e pieno di ferite chiedesse alla giovinezza del presente di risignificarlo, di ridargli nuova linfa… E dato che occorre infinito coraggio, servono servi che leghino a uno sguardo che forse non si vuole orientare…. Mi sono chiesta a lungo perché le ore sul corpo del vecchio siano “lunghe” e “dolci” … forse perché il passato si può rivisitare solo così, con tanto tempo a disposizione e una dolcezza spremuta dalla voglia agrodolce di accogliersi ancora e di riprendersi qualcosa di buono… Ma quel corpo è “vecchio”, ha troppa storia addosso, troppi rimandi, troppe rughe da solcare e risolcare…
C’è paura, tremore, trepidazione nel ripescare quel bagaglio antico, in piega dolce da ripianare.

E a tratti se strideva una civetta,
nella sua barba ella celava il viso,
e intorno a lei tutto ciò che era notte,
desiderio e paura, si addensava.

Strano, per quanta paura abbia la “mia” bambina riesce a tratti a rifugiarsi nella barba del suo vecchio, perché lui solo è la sua storia, tutto quello che le rimane, i suoi ricordi dolorosi e cari… ha solo quelli, che sono quella barba che le ha strapazzato la pelle morbida delle sue guance di bimba in coccole rudi… E lì si rifugia quando un pericolo giunge da fuori, un grido di rapaci per i quali non è pronta e forse non lo sarebbe mai stata. I rapaci sarebbero arrivati e quella barba aveva solo l’illusione di rifugio per il suo viso… perché tutto avveniva di notte, luogo in cui si addensavano desiderio e paura…
Desiderio di rimanere figlia, di rimanere nel giusto fino a quando la paura ridiventava succo denso… Ma il corpo di vecchio si ripresenta nelle sue notti ora, ancora dense tanto da toglierle il respiro e ogni contatto.. Le notti dense perdono le membra, le intorpidiscono piano come un veleno lento che si desidera come un farmaco che tolga sensibilità e dolore, quel dolore continuo e lancinante, che spacca i tessuti come ulcere invisibili e profonde… Denso, plumbeo il dolore come quel buio senza ritorno che mi traghetta a paralisi nuove, un abbondono disancorato di queste ore dentro le quali non ho una vita…

Tremavano simili a lei le stelle,
s’aggirava un profumo per la camera,
lo sbatter della tenda dava un segno
e tacito il suo sguardo lo seguiva.

Ho bisogno che tremino anche le stelle al mio fianco, in quel torpore c’è bisogno disperatamente di una compagnia, vorrei sentire profumi che mi richiamino indietro, al luogo da cui sono partita, ho bisogno che accada qualcosa, anche banale come una tenda che sbatte o un vetro che non chiude bene, solo per un aggancio, per riuscire a muoversi a sistemarlo, e provare fastidio per qualcosa fuori a cui porre rimedio. Ma il torpore blocca, la tenda sbatte e tu non la puoi sistemare, sbatte la porta e tu non ti puoi alzare, senti un profumo e tu non lo puoi trattenere… poi finalmente riesci a muovere almeno lo sguardo, a muoverti da quel giacere riverso su quel corpo, il passato ha vinto oppure ho vinto io? Io non lo so, ma riesco a muovermi, sento i miei piedi e solco piano la terra nuova e le sue membra che riconosco…

ma si teneva stretta al vecchio oscuro
e, non raggiunta dalla notte delle notti,
giaceva su quel corpo regale che gelava,
vergine e leggera come un’anima…

Appoggio i piedi ma sempre avvinta al “vecchio oscuro”… Non si può diventare totalmente familiari di quel vecchio, che rimane oscuro come le molte ombre del mio passato, ma avvinta, mi ritrovo abbracciata come all’inizio quando ho scelto di giacere su di lui, prima che sprofondassi nel mio deliquio dal ritorno arduo, e mi ricordo bene perché ci sono: sciogliere il gelo… Il corpo regale gela, il passato è un regno di ghiaccio se non lo scaldo un po’ col mio ricordo pietoso e ne vedo anche i contorni caldi, non solo ombre, non solo fantasmi, non solo sfregi ma qualche fuoco, le luci accese di una stanza, un odore di cibo caldo servito da una mano di carezza… Il ghiaccio, io lo scaldo, strofino forte le sue membra di vicenda atroce e lo accarezzo, perché lo so… anche ora non giungerà la Notte delle notti, so che questa mia ulteriore terribile notte non mi traghetta all’unica Notte, so che sopravviverò ancora insieme a quel mio corpo che mi accompagna…
Ma mi sento soprattutto “anima”, lo sforzo è troppo intenso, il corpo mi è servito per riaffiorare, ma ora spetta all’anima trovare la sua via “esangue” che ricominci un viaggio lieve verso il mio corpo che ha una storia fatta di freddo e di penombra. E questo lo si compie raggomitolandomi tutta, come quella bimba che vuole alzarsi dopo il suo tempo di dorso chiuso sopra a una scia di stelle tremule.