San Sebastiano

Sta in piedi come uno che giace,
sostenuto da una gran volontà.
Remoto come madri quando allattano
e in sè composto come una ghirlanda.

E vengono le frecce: una , poi l’altra,
quasi scoccate dai suoi stessi lombi,
vibrando all’altra estremità metalliche.
Ma il suo sorriso è oscuro, invulnerato.

Solo una volta si fa grande
la sua amarezza e gli occhi, penosamente nudi
negano ciò che è vile,
come se rifiutassero sprezzanti
i distruttori di una cosa bella.

(Rainer Maria Rilke)

Liberandolo da secoli di iconografia “violenta”, che ne fa un uomo inerme legato a un palo, Rilke lievemente regala qui al suo San Sebastiano la possibilità di stare in piedi, giacendo: è un uomo fiero, non vinto e fiacco…. Ritto sentendosi quasi morto, solo in preda a una gran volontà: sì, perché, nonostante tutto, quest’uomo resiste in quanto “vuole”.
In fondo, sembra deciderlo ancora lui se resistere o meno, non una morte crudele decisa da altri… E in questo, è verissimo, si recupera un essere remoti dal reale come una madre che stia allattando il figlio e quel succo che spreme la rende così unica nel suo nutrire, tanto che tutto il resto è ormai lontano. Anche spremere certi succhi di volere rende spesso troppo lontani dalla normalità di fatti, persone, eventi… Si diventa così “ghirlande”, di una compostezza come unico autocontenimento possibile, che i più scambiano o per suberbia o per disadattamento…. Ma è ghirlanda!
E quelle frecce, i tanti strali della vita interiore ed esteriore, così continue e frequenti, sono metalliche all’altra estremità perchè insinuano il dubbio, in questo caso nel martire prescelto, di essere autoprodotte dai lombi inquieti che generano morte… Siamo innocenti o colpevoli del nostro dolore? Di nuovo bisogna tornare ghirlande composte per non morire sotto a una simile domanda… E quando si ripetono cicli di debolezza, punizione, e resa umile fiaccata, sono nati dai nostri lombi o da altri lombi quei cicli?
Ora non più solo ghirlanda, ma sorriso come cura! Quel sorriso di cui a Sebastiano sembra naturale adornarsi, pur vivendo uno spazio così atroce, sorriso senza finzione e denso di una protezione oscura e invulnerabile… Ecco perché, forse, quel sorriso si fa grande.
E infine l’amarezza dello sguardo, che forse è apparso tanto raramente nella sua vita santa… Ma che egli ora, da uomo stretto a un palo, avverte benissimo che affiora, occhi nudi di fronte a chi lo umilia, o meglio, umilia il bello che Dio ha tessuto in lui (la cosa bella di cui Rilke adombra).
E succede in tanti modi che il martire venga distrutto, negato… negato in ciò che vilmente non si riconosce: l’ingenuità di Dio nella sua carne, inclusa tra le frecce, che sgorga da lombi sorridenti.
L’ingenuità di Dio che si chiede perchè esista la punta di una freccia in ogni sprazzo di pura Riconsegna.