Ti somigliavano,
ed il tuo viso, dai tratti che sognavo,
era il confine nel quale avevo steso
la tenda dove abitavamo.

Da piccoli, quando sono giunti,
io subito non li ho conosciuti
scambiandoli per semplici picchetti
a cui fissare sempre meglio
il sostegno del nostro bel velame
riparo da stelle troppo fitte.

Noi due stavamo coricati
In notti di corse tanto lunghe
Sentendo il silenzio che narrava
la brama di appartenerti ancora
malgrado tu scivolassi piano
di fuori al bordo del mio telo…

Il tutto per te non era nulla
e il pianto che solo ci porgevano
di colpo non più servì a suggello
e a forza di restare insieme:
ti vidi strappare piano piano
la stoffa di un pertugio nuovo
uscendo in preda a troppo vento.

Così li hai riportati fuori
al seguito di tue ricerche nuove
a bordo dei miei fianchi straniti
che ora non eran più dimora
ai loro giocattoli dispersi.

Raschiavo di notte l’abbandono,
bocconi sull’impiantito duro,
sentendo che assente ritornavi
pian piano in bocca a quei respiri,
dolcezza di bimbi addormentati.

Così la notte mi ha sedotto
e forte mi ha preso anche la mano
togliendo dal centro più profondo
il fiore che mi apparteneva,
La loro soltanto tela grezza,
potere di una parete rotta.

E i petali ho tolto piano piano
sperando di non far loro male,
cercando ad ogni strappo lieve
di toglierti pian piano la certezza
che poi li avresti ritrovati.

Ti attende la nostra tenda vuota,
più folle nel tempo del mio senno
che ora ritorna solo al suono
di petali che cadono per terra
lasciandomi volare sopra loro…

(29/05/2014)